Su Ceneri galvanizzate di Sergio Racanati

CENERI GALVANIZZATE

una calcomania mal riuscita
stretta tra le membrane sporche
le perle
– congelate di sudore morto –
giacciono da sempre
sui cadaveri in silicone
più volte ho sfogliato
l’inventario del mio cuore
turbato
rubato
smembrato
nella voragine nera
Venere danza
tra le scie bianche
di centrali elettriche e antenne satellitari
riverberando
– come canne estroflesse
dal peggior nemico –
segnali di una umanità
ormai estinta
contiamo insieme
i nostri reperti
le nostre orme
ormai dissolte
sbrandellate
macinate
polverizzate
chi scriverà la nostra storia?
il tempo
una dilatazione di azioni
pilotate
reiterate
senza carni
ma dimmi
dove siamo?
i lapilli della moltitudine
oramai
riposano sotto il manto
delle 5G
ascoltami
divarica le pupille sature
ormai in orbita
nell’info-sfera
aspettami
sotto le acque tossiche degli oceani
abbracciami
sulle ceneri galvanizzate
della nostra stessa devastazione

Ceneri galvanizzate è un testo inedito di Sergio Racanati, artista visuale. Il suo percorso estetico non è nuovo all’utilizzo di tecniche di regia in cui la construtio aestetica si trova in equilibrio con una presentazione aspettuale non-organizzata degli oggetti ripresi. In altre parole, alla medietà presentativa che mostra allo spettatore il mondo ‘così com’è’ senza mai smentire l’inganno – intrinseco alla creazione artistica – della mistificazione. Questa cifra artistica di Racanati si impone con forza nella poesia, in cui lo sguardo dell’autore indugia su materiali empirici e non empirici, reiterandosi con insistenza. C’è qualcosa da dire ma sfuggono le parole giuste: restano le conseguenze. La sensibilità ecologica ed ecocritica dell’artista genera così l’immagine di un tu intimo, privato a tratti, colpevole di un antefatto collettivo. La devastazione, in conclusione, è nostra. La tensione dei corpi prende posto in un girone purgatoriale ipermoderno: l’impatto tra i composti chimici e l’ambiente, le scorie, la profondità del male, la riscrittura del valore degli oggetti – le perle, a conti fatti, si perdono nella democratizzazione assoluta delle discariche a cielo aperto. Sono contaminate anche le aperture liriche: il cuore è soffocato da troppi aggettivi – come per le perle, l’uno vale l’altro; la Venere danzante è miraggio chimico, si dirada come scie. L’accumulo raggiunge il punto in cui l’autore, che spezza il discorso poetico in versi minimi, quasi le tappe di una maratona senza senso, sopprime e azzera il tono dell’accusa. Non denuncia niente, Racanati. Non una poesia ideologica, la sua, ma il canto idiota della sconfitta collettiva. “Galvanizzare le ceneri” come un brindisi alla catastrofe – come stare a cavalcioni di una bomba, con la stessa leggerezza immorale con cui si sale a cavallo. Con precisa attitudine stilistica e metrica, l’artista porta a termine la composizione con quattro versi di violenta intensità – la stessa che muove, forse, il suo sentire biografico. C’è, in effetti, e pesa, una biografia in Ceneri galvanizzate: la biografia delle persone perdute nel nulla dei sistemi antropologici da cui la colpa è esclusa. Un atto documentaristico – come molti dei suoi lavori videovisuali – accumulato-accomunato come azioni pilotate / reiterate / senza carni. Come quadro beckettiano in cui alla speranza di un diluvio si oppone la vista desertica di ciò che genera – debilita – l’umano.

Su Ceneri galvanizzate di Sergio Racanati

Un pensiero su “Su Ceneri galvanizzate di Sergio Racanati

  • 16 Maggio, 2022 alle 4:30 pm
    Permalink

    Parliamo e comunichiamo con parole morte. Nero su nero. “Una calcomania mal riuscita.”

    E da qualche stagione che in forma colloquiale ascolto e seguo gli elaborati di Sergio Racanati.

    Davvero lo contraddistingue questa tonalità di colore su colore, di parole scelte all’interno della discarica umana, con una consapevolezza di pescare nel torbido e di ritrovarsi infangato e devastato.
    “aspettami
    sotto le acque tossiche degli oceani”
    Eppure la dignità ne resta sempre intatta:
    “come canne estroflesse”!

    Condivido appieno l’accostamento beckettiano della lettura di Stefano Bottero.
    La ricerca poetica è irrimediabilmente macchiata, la percezione ne risulta alterata, irraggiungibile.

    https://youtu.be/pgKR52Zh2AY

    “Nelle mie orbite si scontrano tribù di sub-urbani”
    Grazie per la proposta.
    Saluto la redazione.
    Sergio, un caro saluto. Buona poesia.

    Mauro Pierno

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *