Su “Il rumore dell’ultimo T-Rex” di Lorenzo Cianchi

Potremmo descrivere quella disegnata da Lorenzo Cianchi nella sua seconda raccolta (Il rumore dell’ultimo T-Rex, Taut, 2021) come una filosofia dell’ostacolo. Filosofia: perché la scrittura di Cianchi è, almeno da una parte, cerebrale, deduttiva, argomentativa; dell’ostacolo: perché ciò che punta a rilevare è una sorta di equivalenza tra vita e parzialità, tra essere al mondo ed essere nel limite. Tale limite, poi – e sta qui la dinamica del libro – genera a sua volta una tensione tra un al di qua posseduto ma soffocato (o anche sofferto: «nessun luogo familiare davvero»), e un al di là (esperienziale, non metafisico) verso cui tende il desiderio.

In questo, già la poesia che apre il libro è rivelatoria. L’incipit recita infatti: «La bestia immonda / che doveva essere il T-Rex / la peggiore tra quelle mai apparse / io la sento familiare», e cioè il soggetto è messo in legame con una realtà a lui tre volte diversa (il T-Rex è animale, violento ed estinto; ovvero non umano, problematico e fuori dalla vita), ma proprio in direzione di questo legame acquista senso la sua azione, tendendo al di là del noto. Ancora, nel finale si legge: «e realizzo solo adesso / con quanta violenza / è intessuta / la nostra maglia del discernere». Ecco allora come lo slancio verso la diversità si costruisce in parallelo a una «violenza», che è quella del «discernere» dal momento che discernere è distinguere e distinguere è separare (tentare di) il possibile dall’impossibile, il vero dal falso, il soggetto dall’oggetto… cioè accantonare ai lati opposti della strada il noto (rassicurante ma inerte) e il non noto (sconosciuto ma attraente: «provando a scavalcare»).

Ecco quindi come la «violenza» di Cianchi coincide proprio con la presa di consapevolezza del limite (la violenza è «intessuta» nel discernere, infatti, ne fa parte), e da qui si capisce anche il senso dell’“ostacolo”. Molte poesie di Cianchi (soprattutto nelle prime sezioni) riportano immagini di intralci, deviazioni, impedimenti: «noi incastonati in questi duecento chilometri», «i resti del pensiero che non riuscimmo / a smaltire», «il discreto contegno / dell’esperienza / si nasconde profondo», «nominando le mie perdite», «nel lato scuro del volto / nascondo la mia faccia», «non riesco più / a rispondere alle / domande più elementari». Sono situazioni di sfida, che mettono alla prova la «scatola mentale» (vero protagonista delle poesie), il cui incedere dubitante e calcolatore non è altro che l’effetto dei tentativi di orientamento, tra necessità di comprensione e limite razionale: «Noi di dentro proviamo a raccontarci stando / a terra con la nostra logica / di tasche zavorra.»

Non per questo dobbiamo pensare che la poesia di Cianchi sia priva di slanci narrativi o emotivi. Al contrario: lo sforzo della ragione è uno sforzo vitale, si fa nella relazione con gli altri («Ti parlo / e i miei fantasmi / sottili passano oltre le porte»), si fa all’interno di un generale movimento, di una generale energia che è spesso esemplificata da immagini celesti o – ancora più significativamente – tempestose («Non c’è un cielo / rassicurante qui», «Nella tempesta al neon di questa notte», «come si vola / ci si strappa alla terra», «soffiava il vento / tra le pietre immobili»). Le poesie del T-Rex sono quindi piccole boe di linguaggio (spessissimo sotto i dieci versi, brevi e con scarsissima punteggiatura), tappe della ricerca razionale di una bussola. Come del resto, condensando tutti questi elementi, dichiara l’ultima poesia del libro:

Ho perso la fede
alla conservazione dell’immagine
ho lasciato che il passato
non mi appaia più

HHHHHHHHHHHH
HHHHHHHHHHHH
HHHHHHHHHHHH

trascrivere del rumore
è stato scrivere dei dubbi che abbiamo
non solo ascoltare il suono
ma capire come si reagisce

Su “Il rumore dell’ultimo T-Rex” di Lorenzo Cianchi

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