Umberto Piersanti è nato a Urbino nel 1941, dove tuttora vive e insegna. Considerato tra le figure maggiori della letteratura italiana contemporanea, ha pubblicato numerose raccolte poetiche (ricordiamo in particolare I luoghi persi, Einaudi 1994 e L’albero delle nebbie, Einaudi 2008), saggi e opere di narrativa (l’ultima, Cupo tempo gentile, Marcos y Marcos 2012, ambientata a Urbino tra il 1967 e il 1969, evoca gli anni cruciali della contestazione); è anche autore di film (L’età breve, 1969, Sulle Cesane, 1982). Nel 2015 Marcos y Marcos ha pubblicato la raccolta di poesie Nel folto dei sentieri (premio Cavallini 2017) e nel 2018 il libro di racconti Anime perse.
da I luoghi persi (Einaudi, 1994)
L’isola
Ricordi il mirto, fitto tra le boscaglie,
bianchissimo e odoroso, scendere per i dirupi
sopra quel mare? e le capre
tenaci bruciare il timo, l’enigma
dello sguardo che si posa
dovunque e sempre assente?
più non so il luogo dell’imbarco
come salimmo nel battello
quali erano le carte per il viaggio.
Scendevi alta per lo stradino polveroso
antica come le ragazze
che portarono i panni alle fontane
la tua carne era bruna come la loro.
Férmati nella radura dove il vento
ha disseccato e sparso i rosmarini
qui potremmo vederle se aspettiamo
immobili alle euforbie quando imbruna
vanno alla bella fonte degli aneti
giocano lì nell’acqua e tra le erbe
e mai s’è udito un pianto
sono felici.
Tu eri come loro, solo una volta
quando uscivi dal mare, ti sei seduta
nei gradini del tempio, un’ombra appena
trascorse di dolore nella faccia.
Seppi così che il tempo era finito
che tra gli dei si vive
un giorno solo.
E riprendemmo il mare
normali rotte.
Qualcun altro s’imbarca, attende il turno
né l’isola sprofonda
come vorrei.
Gennaio 1990
da L’albero delle nebbie (Einaudi, 2008)
L’ultimo cachi
l’ultimo cachi, tra rami
che non sai se d’alberello
o cespuglio, sotto gocciola
il ginepro, non riconosci
il settembrino fradicio, contorto,
piantato come l’antico cerchio
di mattoni dalla madre tenace,
e brillava sempre a due colori,
azzurro come il mese del suo nome,
rosso-violaceo come l’estate
che permane, sempre qualcosa
resta dentro l’aria, nella fuga
dei giorni, nella rapina d’acque
e soli che c’accompagna
è solo, solo da mesi,
niente, non una foglia
la più secca e torta
o un gambo, magari accennato
d’altro frutto fraterno
che l’accompagni, ora che l’inverno
stringe e solo la sassifraga
risplende
ieri lo beccava un merlo
nero, le zampe
piantate nella polpa,
a tratti io m’affaccio,
l’uccello sempre lì, col becco teso,
a ferirlo, a portar via la carne,
il succo caldo che la guazza,
la nebbia, neppure la brina fitta
dei sette giorni affacciati sul Natale
hanno potuto disseccare
dopo, l’uccello è volato
dentro il pino, tu sei rimasto,
ferito, appiccicato
stretto su quel ramo,
ma oggi è un giorno azzurro
e io ti guardo fisso,
ti riconosco, amore faticoso,
vita queta e sconvolta
che procedi
Dicembre 2002
da Nel folto dei sentieri (Marcos y Marcos, 2015)
Diario di bordo
presso la foglia fradicia
del tiglio e dentro l’erbe
fatte quasi bianche,
nel suo rosa sempre più pallido
e tenace, un cespo di ciclamini
si rinserra, fragili i gambi
e curvi, inzuppati d’acque,
ma fino a quando arde
dentro la bruma spessa,
la nebbia nera,
quel rosa che settembre
accese con un suo vento
morbido e celeste?
no, la brina non lo stronca
e non lo schianta il vento,
forse l’eterno è nel pallido
colore che mai si spegne
e alla terra eterna
s’annoda e confonde,
ma dicembre viene
e nel gelo lo spezza
c’era lì nell’orto
un lungo ramo
con i passeri in fila
bianchi di neve,
solo il rosso dei cachi
un po’ trapela
tenace, nel chiarore
che l’avvolge
e non sei mai solo
come quando dalla finestra
d’un albergo nuovo
dentro ogni macchina che passa,
infinite, coi fari,
tra la pioggia,
i volti dei viandanti
tu intravedi
annota nel diario a bordo
vicende e cose,
minute o immense
questo conta poco,
e le stanche domande
non segnare,
perché un vecchio
corre lungo il mare
e tra le tamerici ingiallite
o spoglie, una sola
è rimasta verde?
appunti, solo appunti
sparsi, il veliero continua
l’incerta rotta
cerca le sue Galapagos,
ogni moto e caduta
lì forse ha un senso,
sale una bruma immensa
spegne astri e quadranti,
la rotta che s’è persa
Dicembre 2009