Su “Estate corsara” di Alessandra Corbetta

ESPERIMENTI

Quattro gocce sopra il vetrino poi il microscopio
ingigantisce le spore, mostra per bene i batteri:
sembrano muoversi come corpi tra le lenzuola
per spasmi asincroni, in silenzio.

La contaminazione prende forma e noi
a guardarla con la preistorica
immobilità del geco, la scientifica contemplazione
dell’ombra che contagia, crea buio, divora tutto

CAMPO DI MARTE II*

A stare in un’isolabianca nuvola tra
divieti e divieti ancora sussurrati
la ragazza dell’Ottanta sbuca fuori in
un improbabile perché.

La si può scorgere giovane come la si ricorda
in balia dei treni,
puoi dirle – te l’avevo detto

che il male uccide il bene e ti fa donna.
Si può pensare anche sia stato tutto un brutto sogno.

Ma il sogno vero resta ritrovarsi prima che tutto fosse senza crepe sui corpi (in un’isolabianca nuvola) «Quella di Alessandra Corbetta è […] un’estate corsara che non aspetta – e non perdona». Così Marco Sonzogni conclude la sua Nota al termine di Estate corsara [puntoacapo Editrice, 2022]. Corsara come predatrice, sfrenata, in vita. Corsara come la malinconia che segue all’agire violento, alla fretta di andarsene. L’Estate di Corbetta è il declinare di un tempo in cui l’abbraccio fisico, privato, già volge al termine. È osservazione di un crepuscolo annunciato, che ancora non giunge.  L’operazione dell’autrice colpisce nel segno di un’idea estetica celaniana: intendere poeta come osservato-osservante che annulla la distanza tra il sé scrivente e l’oggetto. Non nel senso di una preminenza del dato biografico – al contrario: di una poetica che tratta del luogo per immersione ad esso, in equilibrio sul margine in cui la vita privata scompare. Corbetta è vicina, in questo senso, alla levigatezza dello sguardo di Giovanna Sicari, alla precisione molecolare di Antonella Anedda in Historie, allo straniamento dei margini di Una quieta polvere di Vivian Lamarque. Riferimento manifesto, più volte dichiarato in esergo nella raccolta, sono invece i testi di Francesco Bianconi, la cui esperienza figurativa confluisce in Estate corsara come elemento determinante. L’immaginario dei Baustelle, per cui Bianconi ha composto musica e testi dalla metà degli anni Novanta, ritorna straniato nella poetica di Corbetta, come velato di un crepuscolarismo nuovo, contemporaneo. Dell’atmosfera decadente di Reclame, citata in apertura della raccolta, Corbetta conserva la facoltà descrittiva, la lucidità di uno sguardo che, tuttavia, inquina. Il «tutto» è materia di un declino pulviscolare, pronto a scurirsi ma non ancora attivo nella sua adozione di fine. La relazione con il tu, amato, che ritorna costante come motivo dei versi di Corbetta, appare attraversata da un reiterato inappagarsi, indotto – innescato – da motivi contingenti. All’Io poetico resta da dire, ricorrendo a un tono deangelisiano, un «te l’avevo detto». Forse, una declamazione degli errori commessi – trascorsi eppure di nuovo presenti. Resta il ricordo di una voce, un tempo incontaminata prima dell’inizio del declino: «Leggera, / come nell’arrivederci / il rivedersi». L’estate volge dunque al termine non come stagione aurorale, ma come momento primo di consapevolezza. Non una dichiarazione di giovinezza, non un rimpianto di primi passi, quello di Corbetta, ma lo sguardo teso al farsi prossimo di un giorno buio, autunnale. Da qui l’attaccarsi violento agli spazi, al citare per nome con meticolosa precisione i luoghi di ieri. Da qui la tensione al ri-percorrere, al passare in rassegna il vissuto fino al punto esiziale «prima che tutto fosse», senza pretesa di risoluzione. È lei stessa a dichiararlo: «Nella parola non detta sta la verità. Cercala lì / nel centro di una bocca chiusa». Non c’è risposta, scioglimento, in ciò che è accaduto per davvero. Il «Dopo» (titolo della seconda sezione della raccolta) già si appresta: il tempo cambia.

Su “Estate corsara” di Alessandra Corbetta

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